SORELLE SPAIATE

DI LUCIA ESPOSITO-GIUNTI 2024

RECENSIONE A CURA DELLA DOTT. FLAVIA DONADONI,

PSICOLOGA-PSICOTERAPEUTA

“Ershela ti entrerà nel cuore”, mi scrive Lucia Esposito, l’autrice, quando le comunico che sto per leggere il suo “Sorelle Spaiate”. “Sorelle” mi attrae immediatamente, come una parola chiave che risuona in questi anni di lavoro con le donne, con i cerchi di sorellanza e l’attenzione alle tematiche del femminile.

Sì, Ershela, la protagonista del romanzo, mi è entrata nel cuore, nelle viscere, nella testa. Lo leggo tutto d’un fiato e resto senza parole: continuo a pensare a lei, alla sua sorella spaiata Alina, a questa storia crudele senza un lieto fine. Sento il disgusto che ha provato, la paura, l’orrore e non riesco a smettere di pensare a quanta Ombra esista in questo mondo, e perché alcuni la incontrino in modo così drammatico e spietato.

Ershela ha 19 anni e nella sua Albania vive una situazione difficile. Il padre è morto quando è piccola e il nuovo compagno della madre abusa della sorellina con il silenzio complice della madre stessa. Viene letteralmente adescata da un uomo senza scrupoli che la porta in Italia facendole credere di volerla sposare. Ershela scappa di casa con lui e si ritrova in una situazione da incubo, picchiata, stuprata, minacciata e costretta a prostituirsi. Diventa una “schiava moderna”. Scrivere lettere alla sorella in Albania, con la speranza di poterla rivedere, le dà la forza di sopravvivere e di rimanere connessa con la luce dentro di lei.

“E tutto il passato che avevo cercato di schiacciare in fondo al cuore è tornato su come un rigurgito”. Mi chiedo, con la mia solita deformazione professionale, se esistano e quali siano le radici psicologiche di questa storia, dove nascano questi fili di dolore che si intrecciano con gli eventi. Forse nella morte prematura del padre, nella freddezza e nella mancata tutela da parte della madre? Oppure nel desiderio di una vita migliore, negli incontri sbagliati, nell’ingenuità, nella disperazione? Nessuna chiave psicologica può farci accedere al mistero della vita e fornire risposte che diano un senso a tanto orrore.

Già alla seconda lettera ho un brivido dietro la schiena. Quell’Helidon di trentadue anni che lei chiama “il mio uomo” e la bacia la prima volta portandola via è, in realtà, il mostro che la spingerà nel baratro. Quelli non sono “baci” ma armi che legano, seducono e rendono le donne arrendevoli, fiduciose e dipendenti, come possono farlo le parole e gli incanti. Meglio una pistola puntata dietro la schiena che un bacio di Giuda sulla bocca, almeno la pistola si presenta per quella che è e ci si può difendere.

E’ facile intuire il mostro già dalla sua presentazione, perché l’abuso e lo squallore non hanno creatività: le “strategie” di adescamento non sono sempre le stesse? La solitudine, l’ingenuità, le perdite, gli eventi della vita che rendono fragili, diventano la porta di ingresso dei mostri. Le ragazzine agganciate in rete (vedi www.cuoriconnessi.it). I disperati che non vedono un avvenire davanti a sé, le persone sole che ancora sognano un amore diventano prede fin troppo facili. E’ stato perfino coniato un termine, catfish, a indicare chi si crea una falsa identità online per agganciare e coinvolgere persone in relazioni amorose a scopo di abuso o estorsione. Quei patetici profili da belloccio farebbero perfino sorridere se non nascondessero dietro di essi un enorme squallore.

Sempre le stesse sono anche le strategie per annientare e sottomettere: isolare, terrorizzare, privare l’altro dell’identità e della dignità. La vittima smarrisce la propria identità e si può fare di lei ciò che si vuole. Agli ebrei toglievano i vestiti, i nomi, i capelli e tutto quello che li connetteva alle persone che erano state “prima”, Ershela è stata chiamata “puttana” dai suoi aguzzini prima ancora che lo diventasse, prima del primo cliente, prima che capisse in quale baratro la stessero gettando. Fino a che non si è talmente identificata con il suo ruolo da considerarsi anche lei, in fondo, “solo una puttana”, una ragazza perduta e senza speranza. Eppure, nonostante tutto, profondamente umana, saggia, amorevole verso il ricordo della sorella e del bambino mai nato.

E sono le stesse anche le strategie a cui l’essere umano ricorre per sopravvivere nei casi più estremi. Anestetizzarsi, staccarsi dal corpo, abituarsi all’orrore, non alzare la testa sul presente e contemporaneamente aggrapparsi a tutto quello che di buono ancora sopravvive dentro, come l’amore per la sorellina Anila che tiene in vita Ershela, che le fa sopportare tutto e la spinge perfino a rimettersi sulla strada e nelle mani dei carnefici pur di tentare di salvarla.

La storia di Ershela si incrocia con quella di Viola, giovane giornalista emigrata a Milano da Napoli, anche lei alle prese con un mondo duro in cui farsi strada. Duro ma affrontabile. Certe difficoltà temprano e danno la possibilità di maturare e di trovare la propria identità, altre semplicemente annientano. Le due giovani si incontrano e si guardano come in uno specchio, vedono quella che ognuna avrebbe potuto essere e invece non era per chissà quale disegno del destino. “Ho capito da subito che il tuo sguardo arrivava dove il mio si fermava”.

Un romanzo terapeutico. Trasformativo per l’autrice che, reinventando il finale, può lasciare andare quel rimorso che l’accompagna da trent’anni per non aver fatto all’epoca, giovane e sgomenta, quella che le era sembrata la cosa più giusta da fare, l’unica che potesse portare un minimo di balsamo in tutta questa spietatezza: cercare Alina, la sorella spaiata, consegnarle le lettere scritte per lei e annodare il filo d’amore che la legava a Ershela. Ma non sempre facciamo la cosa giusta, soprattutto se siamo giovani, spaventate, coinvolte. E sembra che quelle lettere “tenute dentro” in tutti questi anni, con l’amore, le contraddizioni e i sensi di colpa che una madre può provare verso la creatura che porta in grembo, abbiano amplificato il loro potere, la loro umanità, in modo da arrivarci, trent’anni dopo, direttamente al cuore. Senza mediazioni. Le anime di Lucia e Ershela si sono solo sfiorate, ma sono rimaste profondamente in contatto al di là del tempo e dello spazio. “In pochi secondi mi ha spiegato l’essenza della vita”. Ed è un dono di vita quello che giunge fino a noi.

Terapeutico per chi lo ha scritto, fonte inesauribile di emozioni e riflessioni per chi lo legge.

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